Baudelaire, il maledetto
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Un’anima inquieta, la cui opera poetica ha inaugurato il concetto di modernità e contribuito alla costruzione dell’identità intellettuale e della sensibilità artistica degli uomini del XX e del XXI secolo. “Non ha avuto la vita che meritava”, dicono di lui i critici, in modo un po’ consolatorio, dell’esistenza di questo bohèmienne sgangherato e perverso.
Certo, Forse non meritava quella madre vicina eppure così distante, o quelle eterne angustie finanziarie, o quegli umilianti consigli di famiglia capaci di privarlo della legittima eredità paterna da lui stesso rapidamente dilapidata in quadri falsi, guanti rosa, e ninnoli e fragranze esotiche.
Eppure, ad osservarlo viene quasi da pensare se se la sia, in fondo, meritata questa vita?
Solitario, ma con una spaventosa paura della solitudine. Incapace di costringersi ad un lavoro regolare, ma sprezzante verso chi ne esercita la sua tutela.
Afflitto dalla Noia, eppure così profondamente attaccato alla vita, nonostante non riesca a sottrarsi all’idea di sentirsi escluso, disadattato, oggetto di scherno.
Insieme all’osservazione fremente della vita in ogni sua forma, dalla più perversa alla più pura, quello che non ha mai smesso di attirare quest’uomo, di ferirlo e al tempo stesso di colmarlo di sofferenza e voluttà, è stato lo spettacolo crudele della propria angoscia, del proprio immenso e insoddisfatto bisogno d’amore.
Oggi facciamo festa con Charles Baudelaire.
La prima “incrinatura”
[2° VOCE] “Charles, questa sera del 10 febbraio 1827 dovrai conservarla nella tua memoria. Hai sei anni e non hai più un padre…”
Charles sorride. Per lui la morte del padre Joseph-François, di 34 anni più anziano della seconda moglie Caroline Archimbaud-Dufays, madre di Baudelaire, è un grande sollievo. Sembra stranamente soddisfatto di essersi liberato di un rivale. Ora sua madre potrà finalmente amare soltanto lui, senza alcun ostacolo.
Il piccolo orfano mostra un interesse precoce per il mondo femminile. Considera Caroline una specie di divinità, un astro, si perde nella dolcezza dell’amore materno. Ma nel novembre 1828, l’idillio si spezza. La madre tanto amata si risposa con un rigido ufficiale di carriera di 39 anni, Jacques Aupick, che si rivelerà un patrigno severo e autoritario. Il piccolo Charles si sente tradito nei suoi sentimenti. Nella sua mente sensibile regna il caos.
Questo secondo matrimonio della madre lo sottopone alla peggiore delle prove. Baudelaire, sarà costretto a trascorrere la propria turbolenta adolescenza tra le mura del Collège Louis-le-Grand di Parigi, dal quale verrà espulso per indisciplina nel 1839, dopo soli tre anni.
In viaggio per le Indie
Su decisione del consiglio di famiglia, due anni dopo l’espulsione dal collegio, Charles viene imbarcato su una nave mercantile diretta a Calcutta per un viaggio a scopo punitivo. A bordo il ragazzo, a 20 anni appena compiuti, conduce vita a sé. Disdegna le conversazioni con gli altri compagni di viaggio, così concentrato sul suo portamento elegante, quasi femmineo, da divenire oggetto di desiderio erotico per i ventuno marinai a bordo del Paquebot-des.Mers-du-Sud (il nome dell’imbarcazione). All’ora dei pasti spinge via il cibo, si lamenta di tutto e di tutti. E’ un giovane bisbetico che proprio a bordo di questa prigione galleggiante impara a odiare l’oceano, dove i giorni si somigliano tutti. La nave approda prima alle isole Mauritius, poi sull’isola di Bourbon, ma Charles non arriverà mai a Calcutta. Ben presto inizia a stancarsi dell’esotismo e, senza indugi, lo annuncia al capitano Saliz, il tutore designato dal patrigno Aupick per sorvegliarne i movimenti. Minaccia persino di buttarsi in mare se non lo lascerà tornare a Parigi. Baudelaire viene quindi trasferito su un’altra nave mercantile, l’Alcide, diretta a Bordeaux.
Siamo a metà del febbraio 1842, e Charles è di nuovo a Parigi, pronto a diventare maggiorenne e soprattutto a entrare in possesso della cospicua eredità lasciatagli dal padre, finalmente libero di vivere la sua giovinezza e salpare davvero alla volta della vita.
All’arrembaggio della vita
Entrato in possesso dell’eredità, Baudelaire inizia a sperperarla indiscriminatamente. Un antiquario riesce con facilità a rifilargli ben quattro quadri falsi.
È talmente determinato ad afferrare la vita e a offrire al mondo un’immagine di sé di uomo abbiente e facoltoso, che si indebita fino al collo. Stringe amicizie con gli ingegni più brillanti dell’epoca e alloggia in un lussuoso appartamento nel quartiere più poetico di Parigi, dove cerca di realizzare il suo ideale di vita estetica, sublimandolo in un “dandismo” dalle conseguenze disastrose per l’economia privata. Gira per i quartieri più miseri della capitale francese sfoggiando un insolito lusso, in un’epoca nella quale le eccentricità nell’abbigliamento non sorprendono più nessuno.
Il ritorno dal viaggio nelle Indie segna per Baudelaire anche l’inizio di una vita consacrata alle lettere poiché è proprio in questo periodo che prendono forma le prime composizioni di quella che diverrà la sua opera principale: I fiori del male. Ma la sua vera e propria opera letteraria inaugurale è il Salon de 1845. Data la sua passione per la pittura e l’arte, il giovane e ambizioso autore vuole offrire ai suoi contemporanei il proprio manifesto poetico,. avendo già esplorato con sorprendenti risultati i vari generi letterari su cui si erano esercitati i maestri del romanticismo a lui più congeniali: Balzac, Nerval, Gautier, maestri e compagni di brigata anche nelle frequentazioni, divenute di routine, all’Hotel de Lauzun. È Qui che infatti si riuniva insieme al Club des Haschischins o dei mangiatori di hashish, il circolo di letterati e intellettuali dediti all’esplorazione delle esperienze e delle allucinazioni indotte dalle droghe, in particolare dall’hashish. E i mondi, gli stati che si attraversano ce li narra proprio Charles:
[2° VOCE] “Eccovi albero mugghiante al vento, mentre racconta alla natura melodie vegetali. Ora vi librate nell’azzurro del cielo immensamente dilatato. Ogni dolore è scomparso. Non lottate più, siete trasportati, non siete più padrone di voi stessi e non vi affliggete. Fra poco l’idea del tempo scomparirà completamente. Ancora, di tanto in tanto, un breve risveglio. Vi sembra di uscire da un mondo meraviglioso e fantastico. Mantenete, è vero, la facoltà di osservarvi, e domani avrete conservato il ricordo di alcune delle vostre sensazioni. Ma, questa facoltà psicologica, non potete applicarla. Vi sfido a temperare una penna o una matita; sarebbe una fatica che supera le vostre forze.”
Le sorelle della strada
È buio, Baudelaire è diretto a un appuntamento. Lungo le strade dove si accende la prostituzione Cerca una ragazza magra e dinoccolata, strabica e di salute inferma. Non la vuole “affittare”. La vuole comprare. E per mille franchi d’oro Sarah la Strabica, così viene chiamata, diventa di sua proprietà. Prende per un braccio questa compagna di disgrazie e, conducendola lungo la Senna, la porta al Louvre. Dinanzi a statue greche e quadri immortali, Sarah, coprendosi vergognosamente il volto, si chiede come si possono mostrare pubblicamente tali oscenità. Vicino a colui che ha promesso di denudare la poesia, la prostituta balbetta e dopo poco scappa via.
Charles non si arrende. Quella donna è di sua proprietà e Dopo un paio di giorni torna a cercarla pronto a godersela. Sarah però, non asseconda i suoi desideri e articolando male le parole, gli risponde di essere già impegnata con un altro cliente. Da lei non avrà né amore né piacere voluttuoso. Piuttosto, Gli lascerà come ricordo una blenorragia, un’infezione causata da rapporti sessuali non protetti.
Deluso, il suo immenso e insoddisfatto bisogno d’amore si riversa di lì a poco verso una avvenente quanto fatale figura femminile. Sulla scena di un misero spettacolo inscenato dentro una ancora più misera bettola adibita a teatro a cui Baudelaire assiste, compare una donna, enorme, nera, dal seno insolitamente esagerato. Baudelaire è stordito, sente subito l’attrazione di un abisso o di una voragine. Si chiama Jeanne Duval, creola di origini haitiane, figlia illegittima di una prostituta di Nantes, con la quale Charles instaura una relazione appassionata e turbolenta. E’ come se tra le braccia gigantesche di Jeanne, lui, così piccolo, ritrovasse la tenera sensazione infantile di sentirsi avvinghiato al corpo dell’amata madre.
E così, in una Francia dove le relazioni miste sono viste con orrore, il poeta sfida il tabù dell’epoca, ed esibisce in società con provocazione e orgoglio la sua nuova amante di colore.
Tuttavia anche questa relazione non sarà indolore per Charles. La comparsa sul proprio corpo di ulcere, pustole, ghiandole pruriginose all’inguine aggiunge tinte drammatiche al legame con la Duval: si tratta di sifilide, parecchio diffusa al tempo. Sarà proprio la sifilide la sua fedele compagna di vita da qui agli anni a venire, capace di procurargli pesanti danni alla sua salute fisica e mentale.
Di nuovo minorenne
Parigi, 21 settembre 1844.
Charles ha un appuntamento con sua madre nei Giardini del Lussemburgo. Non ha buone notizie per il figlio. :
[3° VOCE] “Per ordine del tribunale, sei di nuovo minorenne”
Caroline Gli consegna la lettera con la quale il notaio Ancelle gli rende nota la decisione presa dal consiglio di famiglia nei suoi confronti: la messa sotto tutela “per evitare che anche la somma restante del patrimonio ereditato dal padre venga dilapidata in brevissimo tempo”. Stupefatto come se fosse stato colpito alla nuca con una mazza, Charles è sopraffatto dalla rabbia e dalla rassegnazione.
[3°VOCE] “Puoi appellarti alla decisione del tribunale”
[2°VOCE] “Non ricorrerò in appello davanti a un magistrato. In realtà, anche per mia sfortuna, non sono fatto come gli altri. Rifiuterò sempre tutto ciò che possa attentare alla mia libertà”.
[3°VOCE] “Sembra che tu abbia cercato questa infamia”
[2° VOCE] “E chi lo sa…Voi mi state causando un dolore infinito. Avevo dei soldi, e avete scelto di spezzarmi nuovamente le braccia e le gambe”
Charles Baudelaire non ha più il diritto di disporre del proprio denaro come vuole, è considerato un irresponsabile dalla sua stessa famiglia, la società lo valuta meno di un acquaiolo, eppure sembra fregarsene tanto della sua improvvisa decadenza quanto della sifilide.
Massicce dosi di mercurio, non più soltanto un rimedio contro la sifilide ma un motivo di liberazione interiore dal buio e dalla malinconia di un’esistenza “maledetta”, accompagnano i suoi giorni, e allora qualcosa in lui si espande oltre ogni limite, sviluppa sensazioni e visioni surreali. Torna da Jeanne. Lei, con il suo fascino esotico, sembra demolirlo con la propria violenta passione. Questa donna è il suo sole nero.
Nel maggio e nel giugno 1845 Baudelaire, sempre più pressato dai debiti e psicologicamente instabile, tenta per due volte il suicidio. In entrambi i casi però si ferisce lievemente e supera il trauma fisico con una convalescenza relativamente breve. Ha un disperato bisogno di conforto che solo l’amore materno può dare. Ma La madre lo lascia al suo destino e ignora le sue richieste, con tutta probabilità per ordine di Aupick.
Intanto la situazione politica in Francia precipita. Il regno del monarca Luigi Filippo I, uomo autoritario e inviso all’opposizione liberale e democratica per via di continui provvedimenti liberticidi come il divieto di associazione e del diritto di sciopero, vive un periodo di forte instabilità a causa della grave crisi agricola, industriale e finanziaria che attanaglia il paese. Il malcontento cresce, il disagio sociale è ai massimi, il governo presieduto da Francois Guizot ha ormai i giorni contati.
La rivoluzione è alle porte. La Seconda Repubblica sta per divenire realtà.
Andiamo a fucilare Aupick!
La Marsigliese risuona ovunque. La folla riempie le strade con tamburi e bandiere. La guardia nazionale reprime gli artigiani rivoluzionari scesi in piazza È il 1848 e Charles Baudelaire è in prima linea tra le barricate. Ma il poeta non è interessato solo a far valere le sue idee politiche e rivoluzionarie. Pensa di approfittare dei disordini della folla per vendicarsi del generale Aupick, principale responsabile del doloroso naufragio della sua esistenza, che ora si rifiuta di concedergli una rendita mensile supplementare. Charles si arrampica su una diga artificiale costruita con pezzi di selciato, spara in aria la prima cartuccia del suo fucile a doppia canna e rivolge un’arringa al popolo:
[2°VOCE] “Dobbiamo entrare all’Ecole Polytechnique per fucilare il generale Aupick!”
Baudelaire vuole servirsi della rivoluzione per risolvere un problema personale, ma gli studenti si rifiutano di aprire i cancelli dell’Accademia. Vogliono mediare tra le autorità e gli insorti. Quando I manifestanti cambiano rotta, Charles ne resta sgomento. E deluso dalla Repubblica, preferisce tornare a casa, “spoliticizzato”, come lui stesso si definirà.
I fiori del male
Caffè Tabourey. E’ qui che i poeti parigini si incontrano ogni giovedì sera. Una volta alla settimana, ognuno di loro recita davanti ai colleghi qualcosa della sua produzione settimanale. Ciò che sente lo infastidisce. Dopo tutte quelle fesserie, sarà il turno di colui che gli altri poeti già conoscono senza averne mai letto un solo verso. Si è preparato a recitare pomposamente, e con rara perfezione. Gli spettatori ascoltano titoli come Una bocca, Una tetta vermiglia, Un poppante non ancora nato, La carogna. Sul Tabourey cala un silenzio stupefatto . Al termine della serata, mentre Baudelaire si alza e si prepara a uscire, un uomo ben vestito lo ferma e gli chiede se accetterebbe di farsi pubblicare da lui. Si chiama Auguste Poulet-Malassis, discendente di una famiglia di tipografi di Alencon, e insieme al cognato De Broise ha deciso di entrare nell’editoria. Baudelaire li va a trovare, avvolto in un boa di piume di struzzo, con i capelli verdi dritti in cima alla testa e una pecora rosa al guinzaglio. Poulet-Malassis decide di scommettere sull’opera in versi in via di gestazione. Avrà per titolo I fiori del male, e sarà come un’esplosione di gas nel negozio di un vetraio, con il suo carico di blasfemie e sfide alla morale comune. Nel suo gran libro di versi c’è tutto Baudelaire: nevrosi, ossessioni, odi, rimorsi in un più amaro gusto del nulla nutrito dalla conoscenza di Edgar Allan Poe, spirito creatore che forse per la prima volta aveva svelato le ragioni più oscure della psiche umana, spingendosi ai confini della follia. Si dedica infatti a tradurre tutte le opere dello scrittore americano, vedendo in lui il teorico del principio della poesia fondato sulla bellezza, dove estetica e morale viaggiano rigorosamente distinte.
La prima edizione della raccolta esce nel giugno 1857: 126 liriche di “imprecazioni cesellate nel diamante”, come definite dallo scrittore Emilio Praga.
Tutto sembra finalmente decollare. Ma ancora non sa che un’altra tempesta sta per abbattersi su di lui.
I fiori a processo
Nell’agosto di quello stesso anno Baudelaire viene processato per la pubblicazione de I fiori del male, insieme al suo editore Auguste Poulet-Malassis. L’accusa è di “offesa alla morale pubblica e al buon costume”. La mattina del processo, Charles arriva completamente allucinato, ha il respiro corto e le palpitazioni. Interrompe con sbuffi e versi oltraggiosi la requisitoria del sostituto procuratore imperiale, Ernest Pinard, non ascolta neppure la difesa del suo avvocato. Dopo la fallimentare arringa, il verdetto cala come una mannaia. La corte giudica sei poesie troppo velenose e impone di strapparle dal mazzo. Inoltre, Charles è condannato a pagare trecento franchi d’oro di multa e i due editori cento franchi d’oro ciascuno. La Francia non è ancora pronta ad accogliere l’estro del poeta maledetto.
Questo sarà l’inizio del suo declino, come uomo e come artista. A compensare in parte il penoso stato emotivo in cui versa, è la notizia della morte del suo patrigno, il generale Aupick, divenuto nel frattempo anche senatore.
In rapido declino
A partire dal 1859, all’età di 38 anni, le condizioni fisiche di Baudelaire cominciano ad aggravarsi terribilmente. E’ consumato dalla fatica per le cure chequasi ogni giorno presta alla sua Jeanne, ormai cieca ed emiplegica per via della sifilide.
Drogato fino al midollo, oppresso dai debiti, ricercato per tutta Parigi dai creditori, con gli ufficiali giudiziari alle calcagna, Charles tenta di far sopravvivere almeno la sua poesia. Ma è ormai in rapido declino.
E’ così che, invitato a tenere una conferenza pubblica leggendo il suo poema Spleen, arriva a Bruxelles. La sua orazione si rivela un disastro. Appare disorientato e in preda al panico. La gente si alza e se ne va, lasciandolo nella rabbia mentre tenta di sputare fuori il bilancio della sua vita.
L’avanzare della sifilide nel corpo e nella testa ha prodotto in lui segni evidenti di invecchiamento precoce. Nel 1866, a Namur, durante una visita alla chiesa di Saint-Loup, viene colpito da ictus, e rimane paralizzato nel lato destro del corpo.
Vi è forse una sola consolazione capace, almeno in parte, di attenuare il martirio che Charles sta affrontando in questi ultimi momenti della sua esistenza: la ritrovata presenza della madre, rimasta vedova, anche lei, forse, in cerca di una riconciliazione finale con il figlio tanto amato e al tempo stesso abbandonato una volta finita tra le braccia del generale Aupick. Charles sembra ritrovare, nel contatto materno, quell’ultimo sollievo che risale al tempo in cui immergeva il viso nella biancheria, inebriato dal profumo dell’intimo della madre.
L’ultimo volo di Charles
31 agosto 1867. È un sabato mattina e sono da poco passate le undici , Charles Baudelaire si spegne , a 46 anni, in uno stordimento impenetrabile. Tra le note del Tannhauser di Richard Wagner che il figlio tanto amava, Caroline Aupick accarezza il volto consumato, già prossimo ad una precoce decomposizione, di Charles. L’odore diventa insopportabile e nella stanza tutti, eccetto la madre che non ha mai letto I fiori del male, volano col pensiero alla Carogna:
[2° VOCE] “Sì forte era il fetore, che sull’erba, Temeste di cader venendo meno.
La salma di Charles attraversa le strade di Parigi sotto un caldo soffocante. Ma Quando il carro funebre entra nel cimitero di Montparnasse, il cielo si squarcia. Scoppia un temporale improvviso. La bara, è sferzata dal vento. I mazzi di fiori si riducono a brandelli e i petali sparsi tra i vortici. E’ un momento di grande poesia, che neppure Baudelaire avrebbe immaginato migliore. Dopo poco, la pioggia cessa di colpo, e il cielo torna azzurro.
Durante la cerimonia funebre, l’amico Champfleury chiede alla madre di Baudelaire di poter far incidere su una piccola targa di marmo l’epitaffio scritto dal figlio. Caroline rifiuta sdegnosamente.
[3° VOCE] “Il mio senatore dell’Impero si rivolterebbe nella tomba”
Poi È la volta di Asselineau, un altro dei cari amici di Charles, il quale porge alla madre del poeta un pacchettino ben incartato. E’ una copia della prima edizione de I fiori del male, che Baudelaire gli aveva pregato di consegnare alla madre al momento opportuno affinchè potesse finalmente leggerla.
Sul treno per Honfleur, Caroline si sistema accanto al finestrino in una carrozza di prima classe. Tira fuori il libro, con una mano ne accarezza il rivestimento in pelle e comincia a leggere la prima poesia:
[2° VOCE] Quando per un decreto misterioso del Fato
Apparisce un poeta nell’attediato mondo,
Con terrore sua madre, vomitando blasfemi
Tende i pugni al suo Dio, che ne prova pietà.
Perché non ho figliato tutto un nido di vipere
Piuttosto che allevare una tal derisione?
Maledetta la notte con quei piaceri effimeri
In cui ho concepito la mia espiazione!
L’impeto di una gioia maledetta
Come raccontare il genio, la follia di un uomo vissuto sempre al limite tra l’abisso e la vertigine, la paura e il sogno, l’orrore e l’estasi? Una vita breve, quella di Charles Baudelaire, seppur vissuta in modo intenso e spregiudicato. Non vorrà mai farsi amare, preferendo sempre la crudeltà, la depravazione e la devastazione dei sensi alle gioie dell’amore. Soprattutto se si pensa all’unico vero amore tradito della sua vita: quello per la madre che, in seguito al secondo matrimonio di lei, sfocerà nella grande afflizione dentro la quale la sua anima tenebrosa rimarrà per sempre barricata. Il suo folle amore per gli eccessi lo conduce a dilaniare il suo fisico, in una lenta agonia, con ingenti quantità di oppio e laudano, e a consumarlo attraverso momenti terribili di fame, sfinimento e sofferenze psichiche. Non c’è tregua nella sua vita. L’oscurità che fitta l’avvolge è perenne e i demoni che l’attraversano non conoscono sosta.
Dal fango della sua vita riesce però a estrarre l’oro della sua poesia. La sua singolarità, la diversità da lui tanto cercata fino alla morte sta proprio nel suo essere stato un’esperienza in vaso chiuso, permettendogli però di testimoniare, come scritto da Jean Paul Sartre, “la libera scelta che l’uomo fa di se stesso che s’identifica assolutamente con ciò che si chiama il suo destino”.