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Pietro il Grande, genio e collera

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Pietro il Grande, genio e collera

Un’ombra incombe sul Palazzo d’Inverno. Il pianto invade le strade e le case come il crepitio di mille cristalli rotti. Il corpo esanime del grande Zar pare ancora incarnare la maestosità di un gigante addormentato. Lui, dominatore incontrastato della Russia per 43 anni, capace di superare la memoria d’Ivan il Terribile e a cui per indole e destino sembrava ispirarsi, giace ora senza vita. 

Questo Sansone d’energia e audacia fa sì che, agli inizi del XVIII secolo, la Russia raggiunga il maggior successo mai conosciuto. Graffiandola appena le toglie la sua caratteristica muffa provinciale strappandola ad un lungo letargo e aprendola alla cultura e ai costumi europei. La dota di un’amministrazione efficiente, di una polizie e di un esercito da grande potenza. Servendosi del genio di architetti francesi e italiani, dalle paludi della costa del golfo di Finlandia erige San Pietroburgo, esuberante e magniloquente capitale della scienza e della teologia.

Tuttavia, parallelamente alla sua fama di uomo magno, corre sotto la sua personalità un istinto schizoide, che la sua ragione e la sua volontà non riescono a domare. Il temperamento instabile, frutto delle traumatiche esperienze vissute nell’infanzia e nella gioventù, oscilla tra due poli opposti: euforia e indifferenza, terrore e dispotismo, sensibilità e blocco affettivo. Crisi paranoiche e impulsivi attacchi di collera fanno il resto. 

Oggi facciamo festa con Pietro il Grande.

Un’infanzia difficile

Unico maschio tra i discendenti nati dal secondo matrimonio del padre Alessio, Pietro trova nei suoi tredici fratellastri un branco di nemici. È persino il bersaglio di un infinito e ingiustificato odio da parte dello Zar suo padre. 

Per tutta l’infanzia, Pietro subisce le percosse e le violenze fomentate dai fratellastri maggiori. Senza alcun apparente motivo, su di lui riversano il disprezzo e l’odio che essi provano per la seconda moglie di Alessio, nonché madre del piccolo. Alla morte dello Zar Alessio, il potere passa nelle mani del figlio maggiore Fedor III, che però muore dopo sei anni di reggenza. Spetta quindi al secondo discendente maschio, Ivan, raccogliere lo scettro imperiale: tuttavia le sue condizioni fisiche e mentali sono tanto misere che il governo decide di assegnare il trono sia a Ivan sia a Pietro, che al tempo aveva solo 9 anni. 

Ma a dispetto dell’alta carica da lui ricoperta, è la sorella maggiore, Sofia, a rappresentare il vero pericolo per il futuro Zar. Accecata com’è dal risentimento che prova nei confronti della matrigna Natalia, madre del futuro Zar, si mostra capace di un’ostilità tale da rendere l’adolescenza di Pietro ancora più tragica. 

In varie occasioni, gli somministra piccole quantità di veleno, col solo scopo di procurargli sofferenza, ma senza mai causarne la morte. È a seguito di questi maltrattamenti che Pietro si ammala.  Soffre di continui sobbalzi emotivi, accusa stanchezza, ulcere, problemi ai reni e febbri persistenti. Il pericolo rappresentato da Sofia è tale che il sonno del giovane Pietro è tormentato da incubi terrificanti. Non riuscirà più dormire da solo. Nonostante questo nel paese comincia a sollevarsi un’eco di sostegno e simpatia nei suoi confronti, giudicato più intelligente e carismatico rispetto al fratellastro. Con il passare dei mesi, e con il crescere del sostegno a Pietro, Sofia è costretta a rinchiudersi in un convento, da cui non uscirà mai piú. 

Sollevati dalla minaccia di Sofia, Ivan V e Pietro condividono il trono fino al 1696, anno in cui Ivan muore e Pietro, a soli 24 anni, diviene l’unico Zar di tutte le Russie. 

Le grandi sfide di Pietro

Mischiando orgoglio e pacatezza, il nuovo Zar appare subito determinato a risvegliare la Russia dal torpore dei secoli passati. Viaggia più di ogni suo predecessore. Si avventura in Inghilterra, Germania, Francia e Olanda dove apprende con incredibile voracità ogni cosa si trovi alla sua portata. È affascinato dagli usi e dai costumi di questi Paesi e tenta di assorbirne lo stile. Durante uno dei suoi viaggi, infatti, Pietro si rende conto di non tollerare più l’immagine estetica dei suoi compatrioti. Decide così di europeizzare il viso dei russi abolendo la barba lunga, da sempre simbolo di devozione religiosa.  Arrivando persino a emanare un decreto che vieta fermamente di portare peli sul volto. 

Ma è la scienza ad appassionarlo più di ogni altra cosa. In Francia, si concentra sulle arti, l’architettura e l’ingegneria di Versailles e del suo opulento giardino. In Olanda acquista due collezioni private: una è la raccolta di 1.300 fossili di animali, piante ed embrioni in perfetto stato di conservazione; l’altra consiste in uccelli, rettili, pesci e insetti, e quattro volumi del naturalista Seba contenenti disegni e incisioni di fauna e flora esotici. Entrambe le raccolte, entreranno a far parte della magnifica Accademia delle Scienze di San Pietroburgo. 

Il suo interesse si estende persino nella medicina. Presenzia a ogni operazione chirurgica, osserva e si informa su ogni cosa, arrivando ad operare con le sue stesse mani. Brama qualsiasi tipo di sfida medica che alletti il suo genio.  

Presso l’Accademia delle Scienze crea una vera e propria collezione antropologica:  dentature,  organi e genitali umani conservati in soluzioni di formalina: cadaveri di neonati malformati, lo scheletro di un gigante e un’infinità di corpi di nani che si fa mandare dai confini più remoti della terra. 

Durante le sue spedizioni formative, Pietro preferisce giungere in incognito in modo da poter esplorare e imparare, evitando distrazioni cerimoniali o di protocollo. Suscita per questo l’ammirazione dei suoi contemporanei. 

Il sovrano “oscuro”

Circondato da successi politici e personali, le esperienze traumatiche dell’infanzia e dell’adolescenza scalfiscono irrimediabilmente l’equilibrio emozionale di Pietro. Con la definitiva ascesa al trono, le sue turbe non scompaiono, si mantengono latenti e pronte a riaffiorare in qualsiasi momento. 

Per questo motivo, nello stesso periodo, deciderà di non voler più dormire da solo. Alla sola idea di restare solo al buio, diviene preda di tremende crisi di panico: tutte le notti Pietro ha bisogno di un’altra persona che gli infonda calore e sicurezza sotto le coperte, donna o uomo che sia. 

Il lato oscuro di questo sovrano è causa di attacchi isterici e di crisi epilettiche. Inizia a manifestare comportamenti paranoici, come la forte repulsione per l’acqua: alla sola vista inizia a tremare. 

Ha impulsivi attacchi di collera verso chiunque lo avvicini per strada.   

Spesso attacca con la spada i commensali delle feste che lui stesso organizza, altre volte si comporta con crudele brutalità. Sbeffeggia la Chiesa radicale ortodossa, ideando bestiali parodie religiose, truci spettacoli con l’intento di caricaturizzare riti e cerimonie e affidando i ruoli da protagonista a uomini malformati che fanno le veci dei sacerdoti. Sedicenti fedeli vagano nudi al seguito di megere, e la vodka scorre a fiumi. Pietro infatti si rivela straordinariamente indulgente nei confronti dell’alcol.

Scherzi e cadute

Come molti narcisisti, Pietro ha serie difficoltà nelle relazioni interpersonali. Sebbene non gli vengano attribuite azioni efferate, è pur vero che, come Ivan il Terribile, Pietro esordisce spesso con imprevedibile e ingiustificata violenza. Nel 1703, sospettando che Anna Mons, sua amante da 13 anni, fosse andata a letto con l’ambasciatore svedese, la fa imprigionare con trenta suoi amici e le toglie tutte le mansioni e i terreni a Mosca. 

Ama anche la vista del sangue e prova piacere nel suo spargimento. Uno dei momenti più truci è la decapitazione di una delle sue amanti, la contessa Maria Pavlovna Hamilton, accusata d’infanticidio. Non soltanto assiste al suo supplizio, ma sotto al patibolo la bacia e la esorta a pregare. Quando la testa di Maria rotola a terra, Pietro la prende per i capelli e spiega pacatamente agli assistenti quali sono gli organi che la scure ha sezionato; poi ne bacia nuovamente il viso, si fa il segno della croce e lascia cadere per terra la sua testa.

Vanno aggiunte altre stravaganze che percorrono i corridoi e feste dell’alta società. Si narra che, durante una cena regale, al cospetto della principessa elettrice di Sassonia, lo Zar di Russia dimentica di utilizzare il tovagliolo, si pulisce la bocca sporca d’unto con la manica della giubba, maneggia audacemente i coltelli, e costringe tutti a restar seduti a tavola per quattro ore per continuare a bere. 

Il principale meccanismo di difesa alla frustrazione e al disagio psicologico che lo Zar vive, è la ricerca continua di forme di svago discutibili e al limite della follia.  Si prende gioco di gente indifesa e deforme, come Nani e ritardati mentali.  Inscena finte battaglie tra gli stallieri, e sperimenta materiale esplosivo mettendo a rischio altre vite umane per puro piacere personale. 

Non vi è banchetto in cui Pietro non ordini a un nano di sbucare da una torta, e in un’occasione, si diletta persino nel vedere  il corpo di un bambino smembrato dall’esplosione degli stessi fuochi d’artificio che stava maneggiando. 

È così che dà libero sfogo al suo lato narcisista.  Ed è così che mostra la sua incapacità di stare da solo.

Verso l’abisso

Con il passare del tempo, lo stato psicologico dello Zar peggiora e gli scatti di rabbia diventano sempre più frequenti. In talune occasioni,  saranno così intensi da causargli forti crisi epilettiche. che lo indurranno a lunghe perdite di conoscenza. 

Non conoscendo all’epoca la vera origine di simili malattie, Pietro viene tacciato di essere il custode di una malefica pazzia. L’Anticristo, come sostengono i patriarchi della vecchia Chiesa ortodossa. Solo Caterina, la sua preferita, riesce a restituirgli lucidità. La donna non teme le sue iraconde sortite e invece di fuggire riesce a calmarlo con provvidenziali carezze, ragion per cui Pietro finirà per sposarla. La sua pazienza e le sua abilità faranno sì che, alla morte di Pietro, Caterina erediti il trono, diventando la prima Imperatrice di Russia. 

La follia di Pietro il Grande, è tuttavia riconducibile alle atrocità subite dal padre e dalla sorellastra. Si narra che Le pozioni velenose di Sofia avrebbero dato origine ai forti stati febbrili e all’encefalite che probabilmente intaccò  la parte del cervello atta a gestire i comportamenti.  Pietro è al contempo coraggioso e paranoico, avventuriero e ossessivo, castigatore e fobico, superstizioso e trasgressivo. È blasfemo nei confronti dei Vecchi Credenti della Chiesa ortodossa, ne sbeffeggia i riti e ne disonora l’immagine, occupandosi addirittura degli affari ecclesiastici. Gli sforzi compiuti dal sovrano per limitare l’enorme influenza esercitata dal potere religioso sul popolo russo, si riveleranno però inutili. 

Sangue del suo sangue

Quando si tratta di perseguire coloro che sono sospettati di dissidenza, lo Zar non fa eccezione alcuna, nemmeno quando si tratta del suo unico figlio maschio. Alessio, questo il suo nome in onore del nonno paterno, ha una personalità diametralmente opposta a quella di Pietro. Manifesta ribellione rispetto agli austeri protocolli di corte ed è totalmente disinteressato agli affari militari. Dimostra scarsa attitudine all’apprendimento di quelle abilità che avrebbero potuto fare di lui un degno erede al gran trono di Russia; al contrario il ragazzo sembra parecchio propenso a fraternizzare con i radicali ortodossi, accaniti nemici del padre. 

Allo stesso tempo vagabonda, rifiuta la donna designata come sua sposa, preferendo perdersi in giochi amorosi con una domestica finlandese di nome Afrosina. 

L’astio crescente che lo Zar prova nei confronti di suo figlio, lo spinge a riservare ad Alessio lo stesso trattamento a cui era stato a sua volta sottoposto durante l’infanzia: lo picchia, lo sevizia  tirandolo per i capelli. Lo trasforma in un ragazzo intimorito, insicuro. “E’ come se avessi un membro andato in cancrena”, commenta pubblicamente. 

Lo Zar, infastidito dalla mancanza di responsabilità del ragazzo riguardo ai suoi doveri, scrive al figlio una pungente missiva:

[2° VOCE] “Ricordo la tua ostinata e inferma natura, quante volte ti ho rimproverato e per quanto tempo ti ho tolto la parola. Ma niente di tutto questo è servito, niente ti ha fatto cambiare. Sono soltanto riuscito a perder tempo e a parlare al vento. Non fai il benché minimo sforzo, e tutta la tua felicità consiste nel restare in casa senza far niente. Molte delle cose di cui dovresti vergognarti (e che altrove avrebbero fatto di te un miserabile) sembrano darti il massimo dei piaceri, come fai a non vedere le nefaste conseguenze che tutto ciò causa non solo a te e a me, ma anche all’intera nazione.”

Lo Zar, dinanzi all’ennesimo rifiuto di Alessio, tenta una nuova manovra  tirando in mezzo l’amata Afrosina.

[2° VOCE] “Preparati a governare o a entrare in monastero. A te la decisione.”

Il ragazzo finalmente reagisce, ma lo fa scappando dalla Russia. E’ il 1716 e Alessio decide di rifugiarsi a Vienna nelle braccia del cognato, l’Imperatore Carlo VI.  La cosa sarebbe alquanto comprensibile, se solo non fosse accompagnato dall’amante Afrosina. Alessio, in modo poco furbo, tenta di mascherare Afrosina da paggio, con l’intento di nasconderla, ma, scoperto, è costretto a fuggire a Napoli.

Pietro resta senza parole di fronte all’abbandono del figlio. Rappresenta un tradimento del suo sangue, nonché un gesto che potrebbe far scatenare un’onda sovversiva da parte del popolo. Il ragazzo viene infine scovato a Napoli e fatto rientrare precipitosamente in Russia. Gli emissari inviati da Pietro per prelevarlo gli consegnano una lettera firmata da suo padre:

[2°VOCE] “Figlio mio, la tua disobbedienza e il disprezzo che hai dimostrato riguardo ai miei ordini sono oramai noti a tutti. […] Questo rappresenta qualcosa di finora inaudito, sia all’interno della nostra famiglia sia tra individui che meritano un po’ di considerazione. Quanto male e che profondo dolore hai causato a tuo padre e quanta vergogna hai seminato nel tuo paese! Ti scrivo per l’ultima volta affinchè tu faccia ciò che i signori Tolstoj e Rumjantsov ti diranno, facendo la mia volontà. Se avessi timore di me, ti garantisco e giuro su Dio e sul suo verdetto finale, che non ti castigherò. Se invece rifiutassi, in qualità di padre e in base al potere conferitomi da Dio, ti maledirò eternamente, e in quanto tuo sovrano ti dichiarerò traditore assicurandoti il vero trattamento che spetta a chi agisce come te, sperando che Dio mi assista prendendo nelle sue mani questa causa. A partire da questo momento ricorda che non ti obbligo a far niente. D’altronde che bisogno avrei di condizionare la tua scelta? Se avessi voluto forzarti, ho forse poco potere per farlo? Solo devo impartire ordini per far sì che mi si obbedisca.”

L’infelice Alessio crede così di essere finalmente compreso e comincia a scorgere soddisfatto il futuro che crede di meritare…Nella cerimonia pubblica al Cremlino, lo zarevic prodigo si prostra ai piedi del padre, rinuncia ai diritti al trono a favore del proprio figlio appena nato, ammette i suoi peccati e chiede clemenza. Ma, sebbene Pietro lo perdoni pubblicamente, non può fare a meno di aggredirlo con ogni genere di paranoia riguardante la sua fuga. Sospetta che Alessio abbia nel frattempo organizzato un movimento ostile all’estero e che la sua vita e il suo potere siano in pericolo. Un forte scandalo segue le ammissioni di Alessio: alcuni tra i “fiancheggiatori” vengono decapitati in pubblico, ad altri viene tagliata la lingua o sono rotte loro le ossa a colpi di martello. 

Convinto che il figlio trami un colpo da maestro contro di lui, lo Zar ricorre a un sistema di tortura lento e infallibile: una grossa frusta, provvista di tre nodi, che nel colpire squarcia la pelle del torturato. Il primo giorno d’interrogatorio Alessio riceve venticinque colpi di frusta, ma non dà nuove informazioni. Pietro lo fa frustare altre quindici volte, ed è qui che Alessio confessa di aver dichiarato al suo sacerdote di odiare il padre e di desiderarne la sua morte. Morirà alcuni giorni dopo a causa delle frustate ordinate dal padre, il quale firmerà orgoglioso il certificato di morte, senza dare il benché minimo segnale di lutto o di pentimento.

Una gelida morte

Al culmine del suo potere, all’apice della sua abbagliante fama, Pietro compie un gesto che gli costerà la vita. 

Decide d’immergersi nella corrente gelata del fiume Neeva, dove Un gruppo di marinai sta per naufragare. Lo Zar non ci pensa due volte: si tuffa per salvarli e nessuno pensa a distoglierlo dal suo intento e a condurlo in una zona più sicura. Se la gelida temperatura per Pietro non aveva mai costituito un problema, ora inaspettatamente viene colto da una febbre mortale che si somma a una precedente  infezione venerea, ai calcoli renali, alle cancrene. 

Pietro detto il Grande termina la sua esistenza la mattina del 28 gennaio 1725, dopo giorni di tenace lotta contro il delirio e il dolore. Tutto tremante, poco prima del rantolo finale, aveva chiesto un desco dove scrivere su carta l’ultimo pensiero. Su un foglio lascia scritto “Date tutto a…”. 

Nessuno seppe mai…quale fosse il suo desiderio.

Grande tra i grandi

Il lato oscuro della personalità dello Zar Pietro il Grande si formò durante la sua infanzia. Le esperienze traumatiche crivellarono la sua psicologia scalfendola con inguaribili coltellate. Nonostante ciò, Pietro riuscì ad essere grande tra i grandi…la maggior parte delle volte. 

Coraggioso, risoluto, giovevole, innamorato della Russia e dei russi (malgrado le lunghe e incolte barbe). Il culto del suo nome supera secoli e orientamenti politici, persino durante il periodo comunista il Grande ha meritato un posto tutto suo nel pantheon degli eroi nazionali. Gli eventi non gli resero certamente la vita facile e nemmeno le circostanze favorirono del tutto la sua ascesa al trono. 

Oggi conosciamo lo stretto legame tra alcolismo, epilessia, disturbi dello stato d’animo, crisi d’irritabilità, aggressività e instabilità psicomotoria. Quattro tra i più grandi condottieri della storia (Alessandro Magno, Carlo V, Napoleone e lo stesso Pietro) soffrivano di crisi convulsive, e ciò fa quasi pensare che esista una relazione tra il genio militare e l’epilessia; relazione confermata se si pensa al carattere di questi soggetti, inclini agli eccessi alcolici e a un’istintiva violenza. La loro irritabilità pare andare di pari passo con un desiderio di riforma e miglioramento del paese che governano. Folli destinati a fare la storia, mai a subirla.