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Rasputin, il “mistico”

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Rasputin, il “mistico”

Ciarlatano, cospiratore, profeta, cinico, sessualmente bestiale, ipnotizzatore, visionario o manipolatore di menti: ancor oggi le teorie e i giudizi su di lui, a più di un secolo dalla sua morte, appaiono discordanti. L’unico punto che mette d’accordo tutti, oltre alla sua riconosciuta abilità di muoversi come un’anguilla nel terreno dell’ambiguità, è l’impressione che suscita il suo aspetto osservando una qualsiasi delle fotografie che lo ritraggono: spavento e  inquietudine.

Controverso ed enigmatico, gli vengono attribuiti meriti e colpe di ogni genere, dall’essere l’amante neanche poi così “segreto” della zarina Alessandra di Russia fino alla capacità di compiere miracoli, passando per gli eccessi alcolici e gli abusi sessuali. Ripugnante per alcuni, magnetico per altri. Proprio con la zarina Alessandra scocca quella scintilla che porterà la moglie dello zar Nicola II a consegnare di fatto la propria anima tormentata al suo speciale uomo della Provvidenza, giunto dalla povera Siberia a lenirne le angosce e gli eccessi mistici e diventando in seguito il pilastro del suo equilibrio psicologico, la medicina che placa la sua nevrosi religiosa. Tutto questo sullo sfondo di un regno, quello russo, lacerato da fragilità politiche e falcidiato da fame e frustrazione sociale.                                                          

Oggi facciamo festa con GRIGORIJ RASPUTIN.

Un uomo venuto da lontano

E’ il 10 gennaio 1869 quando, nel modesto villaggio siberiano di Pokrovskoe, viene al mondo l’ottavo figlio di una famiglia di ricchi contadini: si chiama Grigorij, in omaggio al santo del giorno.  Il padre, Efim, viene più spesso ricordato per il suo temperamento violento e per la sua dedizione all’alcol piuttosto che per i suoi meriti sul lavoro, e con Grigorij ricorrerà spesso alle percosse punitive. Maltrattamenti che procureranno al bambino un’enuresi, un disturbo consistente nella minzione incontrollata e copiosa durante la notte. Abitudine, questa di orinare involontariamente nel letto,che il piccolo Grigorij si porterà appresso fino a quando non deciderà di votarsi a Dio. Come tutti i figli dell’alcolismo, Grigorij è un ragazzo inquieto; pensa disordinatamente, si esprime in modo frammentato, il vocabolario è semplice. Tuttavia è il fascino che racchiude in sé a renderlo un ragazzino diverso e speciale rispetto ai suoi coetanei: il suo sguardo azzurro è unico, inquisitore, molto intenso. Pare quasi penetrare nell’anima altrui scoprendo in poco tempo i segreti più riposti. 

A 16 anni scopre il mondo del sesso. Un’esperienza così traumatica, intrapresa mediante una vera e propria orgia consumata con sei delle domestiche della moglie di un generale già anziano, che nemmeno il matrimonio con Praskovia, 3 anni più tardi, riuscirà a lenire. In quel momento Rasputin è un giovane sfaccendato, ubriacone, ai margini della società. La perdita del figlio di soli 6 mesi costituirà una tragedia che segnerà per sempre i tratti della sua personalità. 

È qui che si fa strada in lui un disturbo istrionico narcisista che non lo abbandonerà più. Ha un continuo bisogno di dominare gli altri. Fiuta gli ammiratori con abilità cercando poi di sottometterli, esibisce con somma facilità emozioni contrarie a quelle che prova realmente. La sua condotta sessuale, che Praskovia sopporta e giustifica, è promiscua, eleva agli altari individui che poco dopo denigra. Quando non ottiene i suoi obiettivi esplode e ne dà sfoggio in pubblico per catturare attenzione. 

Sarà un incontro con gli starec, mistici e carismatici giramondo, a determinare una svolta nella sua vita.  Straccioni, esangui, transitano per il paese di Rasputin dove chiedono ospitalità in cambio di racconti sui loro viaggi o di storie su monasteri lontani. Rasputin vuole essere come loro perchè è attratto dall’idea di essere ascoltato dalle masse. E’ ambizioso, è stanco della moglie e della routine paesana. Vuole viaggiare, vivendo in povertà e indottrinando sconosciuti. 

E Grigorij viaggia: nel 1893 giunge al monte Athos, territorio sacro che ospita monaci asceti e santi della Grecia. E’ un uomo trasformato, posseduto da un luminoso messaggio che lo rende in poco tempo popolare; accoglie i fedeli, li consiglia, infonde speranza, si presenta come un uomo che tutto comprende e tutto perdona. 

Poi, giungendo nel monastero di Verkhoturie, incontra i klysti, setta proibita dalla Chiesa ortodossa russa, secondo i quali rotolarsi nello sterco e praticare orge significano raggiungere la salvezza eterna. Il dogma di questa setta si adegua perfettamente al temperamento e agli appetiti di Rasputin che infatti adatta il rituale a suo piacimento. 

Durante i ritrovi mistici spinge gli adepti a scambiarsi affettuosità, ubriacarsi ed entrare infine in uno stato di isteria vertiginosa al culmine del quale iniziano gli atti di fornicazione e sesso sfrenato. Gli uomini e le donne si baciano, i loro corpi si strofinano l’un l’altro, rotolandosi a terra mentre copulano sfrenatamente. Alla raccomandazione di un sacerdote che gli consiglia di affinare i suoi studi teologici, Rasputin concorda e parte diretto verso San Pietroburgo, città del sapere e sede dell’Accademia di Teologia. 

Siamo nella primavera del 1903 e la Russia è sotto l’impero dello Zar Nicola II e della consorte Alessandra, che il destino non tarderà a fargli incontrare. 

Alla corte degli Zar

Nel maggio 1896, un anno e mezzo dopo il matrimonio, Nicola II e Alessandra vengono proclamati Imperatori di Russia. L’incoronazione sarà celebrata in una Mosca vestita a festa; in ogni luogo, in ogni angolo, campeggiano le iniziali dei nuovi Zar. Ambasciatori, ufficiali, membri della famiglia imperiale, tutta la nobiltà russa e straniera contemplano essi in piedi e in silenzio. Nicola è già stato investito Imperatore e unto con l’olio consacrato quando, alzandosi dal trono, il fastoso collare dell’Ordine di Sant’Andrea gli scivola dalle spalle e si abbatte al suolo. I presenti trattengono il fiato: è un presagio della più nera delle sciagure. Il giorno successivo, come da tradizione, circa 500mila persone si radunano nel prato di Khodynka per festeggiare il nuovo Imperatore. Avvengono disordini, la folla barcolla, la gente si spintona, le facce calpestate, le ossa rotte, sangue e fango. Quando compare la polizia il bilancio diviene tragico: 2mila vittime e centinaia di feriti bagnano di orrore un suolo che avrebbe dovuto ospitare una festa. Il nuovo Zar, anziché recarsi immediatamente sul posto, si raccoglie solitario in preghiera. Non contento, la notte stessa è previsto un ballo in onore dell’Imperatore all’ambasciata di Francia; il cuore pavido di Nicola non sa resistere alle pressioni degli zii che reputano dignitoso infischiarsene della tragedia appena occorsa. Né le visite in ospedali né l’offerta di indennizzi alle famiglie delle vittime riescono a placare l’ira del popolo russo, sentitosi tradito e abbandonato dal suo Zar, più interessato evidentemente a presenziare ad una festa piuttosto che a lenire le ingiuste sofferenze della sua gente.

Nei primi anni di impero, Nicola e Sunny (così veniva chiamata in casa Alessandra) vivono una vita coniugale serena durante i quali danno alla luce 4 figlie femmine. Per dare continuità al trono, però, serve un maschio. Ed è qui che iniziano i problemi. Il vero erede al trono tarda ad arrivare. Alessandra inizia a essere ossessionata dall’idea di concepire un maschio. È tesa, esasperata. La nevrastenia inizia a intaccare il suo spirito e a sgretolare il suo equilibrio. La zarina diffida del prossimo, crede che nessuno la comprenda né l’aiuti. Vive dominata dalla sensazione di essere sempre al limite delle proprie forze. 

Nel suo cuore e nella sua mente resta un’unica strada: aggrapparsi all’idea che solo un Essere Superiore possa indicarle il cammino verso la guarigione. E così lo Zar e la zarina di Russia danno il benvenuto a chiunque si attribuisca la capacità di introdurre per magici percorsi il seme di un maschietto nel grembo dell’Imperatrice. 

E il 12 agosto 1904, dopo vari ed estenuanti tentativi, il miracolo è compiuto. Viene al mondo un bellissimo bambino dagli occhi azzurri e i capelli biondi,  il cui nome sarà Aleksej Nicolaevic. E’ il giubilo collettivo. Gli zar sono in festa. 

La felicità tuttavia dura poco. Qualche giorno dopo la nascita, del sangue fluisce dall’ombelico del bambino, è in corso una emorragia mentre Nicola e Alessandra agonizzano dal terrore. La maledetta parola infine fa capolino: emofilia. A partire da questo momento i drammatici fatti di guerra e le crescenti tensioni politico-sociali interne al paese non meriteranno la stessa attenzione da parte degli Zar tanto quanto la malattia del figlio. Il problema investe interamente mente e cuore di Alessandra, schiacciata dal senso di colpa per aver trasmesso questo male ereditario a suo figlio.  Se il suo equilibrio emotivo già si trovava al limite del tracollo quando cercava di concepire un maschio, ora il panico costante, la minaccia continua spezzano definitivamente il cuore della zarina. Il solo che può aiutare Alessandra è l’Altissimo. Trascorre giorni interi inginocchiata, con la pelle sprofondata nel gelido pavimento. Non vuole arrendersi all’evidenza, professa una chiara inclinazione verso gli stregoni. Il suo stato psichico, come descriverà suo cognato, “è in condizioni tali da dare il benvenuto a un dispensatore di miracoli.” 

Il salvatore di Aleksej

Capelli lunghi, unti, nera barba incolta, abbigliamento rozzo, naso grande e indagatore, occhi inquisitori e magnetici. Il salvatore dello zarevic è a San Pietroburgo, come detto, dal 1903. Ha studiato, ma ciò che emana non è profondità di ragionamento ma spiritualità istintiva, primitiva e potente. È diventato la stella della città. Il suo anfitrione Teofan, ispettore dell’accademia teologica, e confessore di Alessandra, lo introduce nell’alta società e nella casa imperiale. L’uomo suscita stupore presso i convitati accorsi per ascoltarlo.. Il suo ingresso presso la residenza degli Zar è magnetica. Subito capta l’instabilità dello spirito di Alessandra, il nervosismo che l’attanaglia e la consuma. Spiega alle loro Maestà in cosa consiste il suo metodo: si limita a pregare mentre pensa con intensità al sofferente; senza sapere come né perché, il Signore lo illumina con le risposte adeguate alla situazione. Quasi un anno più tardi, Rasputin riceve un secondo invito dalla famiglia imperiale. In quell’occasione, Grigorij menziona la malattia dello zarevic come se la conoscesse perfettamente. I cuori degli Zar si fermano: il male di Alekseij è un segreto gelosamente custodito. Come faceva a conoscerlo?  Senza tergiversare, Rasputin avanza una richiesta insolita: vuole pregare al fianco del letto del bambino. Rasputin si limita a contemplarlo con i suoi occhi profondi e in seguito si inginocchia alla testata del letto, china il capo e prega con profonda spiritualità. Gli Zar si emozionano. 

Lussurioso dispensatore di miracoli

Il disturbo istrionico di cui soffre Rasputin lo spinge a mantenere dinamiche sessuali di dominazione, come l’eroe e la sua schiava. Con le sue eccezionali doti di persuasione, convince le sue seguaci, soprattutto nobildonne, che l’ideale è oltraggiare Dio peccando con colui che può redimere.  Il monaco Il’Jodor, amico di Rasputin dai tempi dell’Accademia di Teologia, riassume in quattro distinte categorie i metodi sessuali dell’amico Grigorij: il primo gruppo è composto da donne che trascina fino alle stanze da bagno. Lì chiede loro che gli mostrino il seno, le accarezza, le bacia, esprime impudicamente le sensazioni che prova e come vuole che esse reagiscano. In questo processo Rasputin descrive l’evoluzione del suo membro, suda, respira affannosamente, poi improvvisamente si ferma, lasciando sconcertata la dama. Un secondo gruppo è composto dalle donne che vizia; le invita a casa sua, chiede loro che si spoglino, che scoprano il letto e che lo implorino di sdraiarsi accanto a loro. Grigorij ricompensa con una serie interminabile di coccole e baci. La seduta si prolunga per circa 4 ore, finchè la donna oggetto di tali attenzioni si sente torturata e scappa correndo verso la tranquillità di casa sua. In un terzo gruppo si collocano le signore che egli libera dal Maligno. Con costoro in genere non intraprende una relazione fisica, bensì le sottopone a una peculiare seduta di esorcismo che le salverà dal demonio. L’ultimo gruppo è formato dalle donne con cui conclude un rapporto sessuale completo. 

Le continue fanfaronate, il suo aspetto trasandato, le cattive maniere che esibisce, invece di allontanare le dame, aumentano la richiesta delle sue prestazioni sessuali. Anche così, fin quasi dal principio, Rasputin conquista totalmente la fiducia degli Zar, per quanto incredibile sembri! Anche in considerazione dei “miracoli” che  opera al prediletto Aleksej. 

Ne è un esempio ciò che accade nel 1912. 

Mentre si trova in vacanza, il piccolo è vittima della peggior crisi mai avuta. Durante una passeggiata in automobile,lo zarevic si lamenta di un lancinante dolore al ventre e alla gamba. Ogni buca della strada che attraversa a bordo dell’auto, strappa un grido di dolore al piccolo, che arriva a casa praticamente in stato d’incoscienza. Compare una emorragia alla gamba e all’inguine. Per 11 tremendi giorni il bambino non smette di gridare; Alessandra rimane vittima di una crisi nevrastenica, i suoi capelli diventano grigi, sente di perdere tutte le speranze. Falliti tutti i rimedi della miglior medicina, decide di rivolgersi all’ultima possibilità rimasta: invia un telegramma a Rasputin, recatosi a trascorrere una vacanza nel suo villaggio in Siberia. Grigorij risponde immediatamente.

Nicola II non condivide il furore mistico della moglie, né il suo sconcertante appoggio a Rasputin, informato com’è dai suoi servizi segreti degli scandali che circondano la vita e la condotta del (falso) profeta. Il governo a questo punto, all’insaputa persino dello Zar, prende l’iniziativa e decide che l’influenza di Rasputin sulla famiglia imperiale sta cominciando a essere pericolosa. E’ necessario quindi arginarla. Si susseguono le denunce di stupro, ed esse arrivano fino all’ispettore Teofan, lo stesso che accolse a braccia aperte il contadino illuminato quando giunse a San Pietroburgo. L’onda dello scandalo raggiunge dimensioni tali che il ministro Stolypin, si vede costretto a un faccia a faccia con il calunniato. Sia stato per le parole ingiuriose che quest’ultimo gli rivolge, o per il semplice fatto di aver osato affrontarlo, resta il fatto che Grigorij, nel bel mezzo di una cerimonia d’inaugurazione di una statua commemorativa di Alessandro III e proprio quando la famiglia e Stolypin passano davanti a lui, agita le mani, indica il primo ministro “prefigurandogli” il sinistro destino.

La notte seguente, nell’intervallo di una rappresentazione all’opera, un oscuro individuo si avvicina al primo ministro, estrae una pistola dal cappotto e gli spara due colpi in pieno petto. Con una esplosione di sangue nella camicia, Stolypin si volta verso gli Zar, li guarda, si fa il segno della croce e cade privo di vita.

Il cerchio si stringe

Nel 1914 scoppia la prima guerra mondiale. Rasputin scrive allo Zar ripetute missive disseminate di errori ortografici, chiedendogli di non entrare in guerra; le sue visioni erano state molto chiare in proposito. E’ La stessa Alessandra scrive lettere di suppliche al marito, ormai partito per il fronte.

Il popolo russo comincia a non poterne più, una folla si raduna sulla Piazza Rossa a Mosca, chiedono a gran voce l’abdicazione dello Zar, l’arresto della zarina e l’esecuzione di Rasputin. Protetto dall’insensata idolatria della zarina, Grigorij suggerisce persino le nomine dei ministri e colloca i suoi compari nelle posizioni di maggior rilievo. Una coppia di poliziotti, incaricata dal governo di piantonare giorno e notte l’entrata dell’appartamento del contadino, registra tutto ciò che accade per trasmettere le informazioni ai servizi segreti. Il più delle volte Grigorj giunge a casa ubriaco e in compagnia di prostitute o addirittura mogli di ufficiali. Tuttavia Alessandra continua a restare sorda a qualunque commento che possa oscurare la sua venerazione verso l’Amico. Persino Lo Zar, nonostante le pressioni suscitate dallo zio, non ha sufficiente coraggio per affrontare la moglie: Alessandra è il suo sostegno emotivo, le sue orecchie, i suoi occhi e il suo scudo contro i politici di San Pietroburgo. L’intera Russia si risente nei confronti della zarina, per la sua cecità e per la seria minaccia rappresentata dalla sua vicinanza al contadino siberiano. Ciononostante, un membro della nobiltà non è disposto a lasciarsi intimorire. Il suo nome è Feliks Jusupov, ed è certo che se si vuole salvare la Russia è necessario uccidere Rasputin.

Una fine ignominiosa

La notte del 16 dicembre 1916, Rasputin è attirato nella residenza del principe Jusupov, alcuni complici avvelenano con cianuro di potassio alcuni pasticcini; Rasputin è goloso,non resisterà ai dolci. Feliks va a prendere il suo invitato, Rasputin lo accoglie cordialmente. I complici intanto hanno versato nel vino dell’altro cianuro di potassio, e si sono nascosti al piano superiore. Rasputin, attirato a quell’incontro dalla presenza di Irina, moglie di Jusupov, per la quale Grigoij aveva sempre dimostrato desiderio sessuale, rifiuta i pasticcini e il vino che gli viene offerto. Jusupov si allontana dicendo di andare a vedere se le amiche della moglie si sono già accomiatate. Quando torna in salotto, stanco di attendere Irina, lo vede che sta mangiando i pasticcini e bevendo il vino. L’anfitrione aspetta il collasso del gigante con i nervi a fior di pelle, ma pare che il veleno non scateni l’effetto mortifero desiderato. Jusupov decide a quel punto che si dovrà uccidere Rasputin a colpi di pistola. Jusupov, uomo signorile e delicato come un cerbiatto, torna in salotto con una pistola tra le mani. E spara. Dopo qualche minuto però, Jusupov non resiste all’irrefrenabile desiderio di tornare a vedere il cadavere. Rasputin non era ancora morto! Riesce a uscire in giardino e si trascina a gattoni sulla neve. Il principe ordina di sparare nuovamente. Una volta, due volte, tre volte…fino a che l’ultimo colpo non raggiunge la schiena della vittima, che si ferma. Un quarto colpo viene sparato alla testa. Nonostante il rabbioso accanimento di Jusupov sul corpo martoriato di Rasputin, il siberiano è ancora vivo. Lo finiscono una volta per tutte; il granduca Dmitrij e Puriskevic caricano il cadavere sull’automobile e lo portano fuori città, fino a un ponte sul fiume Neeva. Il fiume è gelato e i quattro uomini lanciano il corpo sul ghiaccio, che nell’impatto si rompe. Lo vedono quindi sparire nella gelida oscurità delle acque. Tre giorni dopo alcuni passanti scorgono un oggetto galleggiante sul fiume. E’ Rasputin! I suoi assassini avevano dimenticato di zavorrare il cadavere. Dall’autopsia emergerà come al momento dell’essere gettato in acqua, Grigorij fosse ancora vivo.

Così termina la vita di questa figura originale, in fondo inafferrabile che abbiamo cercato di raccontare attraverso le gesta nobili e meno nobili con le quali, in un modo o nell’altro, ha tinto di follia una fetta di storia. Russa, in questo caso. Non la storia clinica o la mera cronaca di una vita umana, ma l’attraversamento intrigante e rischioso nei meandri di una personalità tormentata capace però di esercitare enorme influenza su una delle famiglie più potenti d’Europa. Menti fragili, facili ai sali-scendi delle emozioni come quella della zarina Alessandra, che individuano in uno pseudoMessia giunto dal nulla una disperata ancora di salvezza cui donare interamente sè stesse. Il potere quasi taumaturgico di cui vengono investiti simili personaggi è in grado persino di oscurare l’intima sofferenza da essi provata. Individui dai più derisi e da cui si è soliti fuggire molto meno di quanto si possa pensare. La storia, non solo le regine, i re o similari,  ha bisogno anche di loro. Per meglio conoscerla. Per davvero amarla.